04 Mag 2020

Il vuoto fertile

Nella nostra vita quotidiana difficilmente sperimentiamo il vuoto, a fatica lo accogliamo come un momento di crescita e di ascolto… molto spesso lo temiamo.

Siamo in qualche modo drogati dal “pieno”, ne sentiamo la necessità. Andiamo alla ricerca di cose, oggetti, relazioni, sostanze e quant’altro per riempire degli spazi vuoti.

Anche certe emozioni possono servire per riempire o nascondere altro, stare nel vuoto, nel silenzio che ci obbliga a riflettere su di noi stessi e a prendere contatto con vissuti talvolta dolorosi è un’esperienza che evitiamo volentieri.

Vivere un lutto, una separazione, un trauma ci obbligano a stare in silenzio, nell’attesa che quel tempo necessario per una sana rielaborazione del processo volga al termine… quanto spesso, però, accade che questo tempo diventi spazio per altro e che il silenzio venga sostituito con il rumore di altri pensieri, di altri “pieni”.

Il vuoto viene vissuto come inutile, fastidioso, inconcludente, non produttivo, da evitare come qualcosa di troppo lento, da far scorrere in modo accelerato per poter tornare velocemente al “domani è un altro giorno”.

Il vuoto non è presente, il vuoto non è un momento da vivere, il vuoto è vuoto, il vuoto è sterile, il vuoto non è.

Di fronte a questa abitudine a considerare il vuoto come sterile, la sfida e la novità proposta da molte correnti religiose e di ricerca spirituale, nonché da alcuni approcci psicoterapeutici (psicoterapia della gestalt) è la possibilità di ascoltare se stessi in un vuoto che racchiude in sé tantissimi significati, se lo si vuole ascoltare e che, per questo,  viene definito fertile.

Il vuoto fertile non è mancanza di attività, non è fare nulla, anzi è proprio il contrario. E’ una condizione nella quale si osserva senza giudizio, senza tutti quei rumori dati dalle nostre interpretazioni, credenze, influenze culturali, esperienze, ecc. E’ una condizione in cui semplicemente si osserva quello che è: la verità.

Si entra in contatto con la propria anima.

Spesso in terapia con i pazienti c’è una difficoltà a contattare il se autentico, ovvero quella che alcuni chiamerebbero “anima”. C’è sempre molto rumore, confusione, parole, “testa”… che, spesso, ci allontanano dalla consapevolezza dei nostri reali bisogni e dai nostri autentici vissuti. 

Il filosofo Friedlander ha definito il vuoto fertile come “il preludio all’atto creativo”, uno spazio fondamentale al progredire dell’esistenza.

Il vuoto fertile ci consente di ristrutturarci e ci permette di prendere consapevolezza di cose che nell’assordante frastuono del caos interno ed esterno non si riuscirebbero nemmeno a percepire.

Se non ci si ascolta allora non può emergere il nostro vero bisogno e quindi è anche impossibile che mettiamo in atto comportamenti per soddisfarlo.

”Il nulla è niente solo nella misura in cui siamo ossessionati dal bisogno che sia qualcosa. Una volta che accettiamo il nulla, tutto si unisce a noi. Il nulla diventa uno schermo sul quale possiamo vedere tutto, uno “sfondo” sul quale emerge liberamente qualunque “figura”.

 Bibliografia

Joseph Zinker, Processi creativi in psicoterapia della gestalt, Franco Angeli, 2002

Jerzy Grotowski, Per un teatro povero, Bulzoni editore,1970

Giangiorgio Pasqualotto, L’estetica del vuoto, Marsilio, 1992